Gli Invisibili: beati i puri di cuore, perché vedranno Dio
La città invisibile, quella ai nostri occhi non certo agli occhi di Dio, si muove silenziosa agli angoli delle strade, negli anfratti dei negozi, nei sottoscala di puzzolenti e fatiscenti edifici abbandonati.
E’ il popolo dei senza qualcosa: una famiglia, un lavoro, una casa. Ma riconosci nel loro sguardo la dignità di persone che per loro scelta o per motivi di lavoro (licenziamento) o famigliari (una separazione) finiscono in mezzo ad una strada. La loro casa è spesso un cartone, il loro armadio un carrello della spesa, il loro giaciglio una busta di plastica con dentro tutta la loro vita, spesso hanno accanto l’inseparabile busta del vino e per compagno di vita un cane.
Anni fa diventò mio amico un Invisibile, che si aggirava per Piazza del Pantheon; non chiedeva la carità, ma in cambio di un panino e una birra ti raccontava incredibili storie di principi e principesse. La notte dormiva sotto il porticato accanto ad altri fratelli, come lui chiamava i suoi compagni di viaggio. Li separava solo un muro dai nobili re d’Italia.
Lui stesso era un nobile che per scelta aveva abbandonato la sua famiglia e viveva la città e i suoi abitanti portandosi addosso una storia di ricchezza e nobiltà. Era piacevole ascoltare le sue storie, un uomo mite, dallo sguardo dolce, dal comportamento dignitoso e pulito, dentro. Il suo aspetto non era certo da prima del Teatro dell’Opera, ma il suo amore per la cultura era tutto nelle sue parole: si parlava di filosofia e di arte ma anche dell’indifferenza degli altri e sempre più spesso del disprezzo non solo dei “borghesi” ma anche dei “proletari”: una guerra tra poveri, la definiva.
In lui prendeva forma quella lotta di classe che, mi diceva, Gesù aveva portato nella Palestina del suo tempo quando rivolgendosi al popolo, il popolo dei poveri che non speravano più in un cambiamento, Gesù li spronava dicendo “la situazione sta per cambiare, se credete in me sarete felici”. Lui che in chiesa c’entrava solo per riscaldarsi, rimaneva affascinato da quel pezzo di legno nella cui figura rivedeva tutti gli invisibili del mondo. Il suo separarsi dagli altri e da una vita di agi aveva un che di sacro e niente e nessuno potevo riuscire a legarlo ad un luogo: una casa, una famiglia, ma neppure gli ostelli della Caritas.
La sua casa era la strada e la sua famiglia erano gli incontri che lui faceva. Mi diceva che il profeta Gesù portava ai poveri parole di speranza e di rivolta attraverso le Beatitudini che mi declamava a memoria mettendoci dentro tutta la passione che, diceva, dovrebbero metterci i preti, ma anche i politici, soprattutto se popolari, socialisti e cristiani. E per lui Gesù rappresentava a suo modo un capo “rivoluzionario” perché per il suo tempo con le Beatitudini aveva capovolto l’ordine di cose esistenti.
Oggi che il termine “rivoluzionario” è passato di moda, Papa Francesco ci parla di “cambiamento” perché Gesù “faceva vedere una strada di cambiamento alla gente e per questo la gente lo seguiva”. Non lo seguiva “perché era di attualità: lo seguiva perché il messaggio di Gesù arrivava al cuore”. “Ma quello che faceva Gesù non era soltanto un cambiamento dal brutto al bello, dal cattivo al buono: Gesù ha fatto una trasformazione.
Non è un problema di far bello, non è un problema di maquillage, di trucco: ha cambiato tutto da dentro!”. E oggi al mio amico Invisibile sarebbero certamente piaciute le parole dell’ex presidente dell’Uruguay José Pepe Mujica “Appartengo a una generazione che ha voluto cambiare il mondo, ma che ha commesso il terribile errore di non volere cambiare prima se stessa”.
Oggi, che l’Invisibile di piazza del Pantheon me lo immagino sedere alla mensa del padre celeste perché “grande è la sua ricompensa nei cieli”, il mio pensiero va ad un altro Invisibile che nell’indifferenza di tutti noi ha lasciato, a soli 43 anni, nel dolore i suoi due compagni di vita morendo, nel giorno dell’epifania, da solo in fetidi locali chiamati “Mercatone” di Avellino, un luogo che forse doveva servire per conservare merci e che hanno finito per accogliere “merci” scartate. Gli scarti di uno società del benessere a cui tante volte si rivolge Papa Francesco “È spirato senza neanche un’ultima carezza…
Di fronte a tanto dolore l’uomo chiede: “Signore dove sei?”. La risposta è nel Getsemani: “Nelle tue mani mi affido. Signore, non ti capisco, ma senza capire mi affido alle tue mani”.
ROBERTO PAPA