Palestrina verso il Distretto turistico: villaggio turistico del mondo
Sabato scorso presso il Museo Archeologico di Palestrina si è svolto l’incontro tra i tre comuni capofila del progetto di “distretto turistico” tra Palestrina, Subiaco e Tivoli. Ma cosa è un distretto turistico?Uno strumento messo al servizio di un territorio per promuovere sviluppo economico a partire dalle nostre eccellenze: i monumenti, il paesaggio, la cultura, l’enogastronomia.
Il distretto prevede una sinergia tra pubblico e privato: il Comune, i musei, alberghi, servizi turistici ma anche i mezzi della mobilità per arrivare poi all’industria, all’artigianato e persino alla scuola.
Il Distretto dovrebbe servire a migliorare i servizi quali investimenti, accesso al credito, perseguendo una semplificazione burocratica.
La legge c’è (DL 70/2011 e L. 106/2011) ma ora tocca alle amministrazioni comunali e agli operatori commerciali e culturali far camminare idee, proposte che, a partire dal brand proprio di ogni territorio, definiscano nel miglior modo possibile l’immagine del Comune per attirare turisti e visitatori, soprattutto quelli stranieri.
Palestrina non è solo “Dea Fortuna” ma di sicuro il suo brand, riconosciuto più all’estero che in Italia, è Pierluigi da Palestrina e su questo “marchio”, tirato fuori dalle polverose stanze della storia, si dovrebbe costruire una narrazione non solo rivolta al passato, perché chi campa di rendita si mangia il patrimonio, ma volgere lo sguardo al futuro, superando quell’incapacità di vedere nel nostro patrimonio culturale il motore anche economico di un paese che ha proprio in questo campo la ricchezza più grande.
Dobbiamo superare la visione che vede la tutela di un bene come semplice conservazione dove è meglio mandarlo in malora dallo Stato che recuperarlo da un privato. Penso al Casino Barberini che sta cadendo a pezzi, depredato da vandali, o alle sempre più numerose Chiese, chiuse e abbandonate, alcune dei piccoli gioielli di affreschi e architettonici.
Dobbiamo uscire da una visione della tutela di un bene pubblico come conservazione in buono stato (quando lo facciamo) per lasciarlo alle generazioni future, un bene “sotto vuoto”. A un bene culturale, sia un quadro, un affresco, una musica, un monumento, un piatto, un vino dobbiamo dare un senso, un valore, creandogli intorno un progetto che lo renda fruibile a tutti agli intenditori ma anche alla persona comune.
Un aneddoto riferito a Leonard Bernstein racconta che durante l’esecuzione della Sinfonia n. 5 di Gustav Mahler in cinque movimenti, alla fine del quarto, pensando che fosse terminata, uno spettatore applaudì seguito da altri. Gli intenditori lo fulminarono con lo sguardo, esprimendo disapprovazione. Bernstein al termine del concerto ringraziò quello spettatore perché, disse “vuol dire che non aveva mai assistito ad una esecuzione e quindi non sapeva che durante un concerto si applaude solo al termine”.
Quindi dobbiamo permettere che un bene culturale sia fruibile da tutti e non può essere solo per chi se ne intende ma occorre superare quell’atteggiamento snob che divide la cultura in alta e bassa………penso a certi dibattiti sulla musica del Pierluigi o a concerti polifonici prenestini per pochi intimi. A tal proposito consiglio ai nostri amministratori, in particolare della cultura, la lettura di un libro di Umberto Eco “Apocalittici e Integrati” sulla cultura alta e bassa.
Al di la delle dichiarazioni “istituzionali” di sindaci e assessori avviare un “distretto” non può prescindere da un processo di recupero (gentrification) dei luoghi dove i cittadini vivono e lavorano, cosa che fino ad oggi non è avvenuta: il centro storico di Palestrina si sta svuotando o “invecchiando”, gli esercizi commerciali chiudono o si trasferiscono in altre zone, l’unica politica è quella di “vivere la notte”, con una movida che si porta dietro degrado, violenza e spaccio; gli Scacciati subiscono ormai da anni un degrado urbanistico e come sempre accade in queste situazione viene abitato dagli immigrati per il basso (?) costo delle case e per fortuna che ci sono loro a rendere “vivo” un luogo che altrimenti sarebbe un deserto.
Ridare vivibilità ai luoghi in funzione di un processo che conduca al distretto potrebbe avviare una riflessione su cosa è una città: quello di organizzare una comunità che si divide i compiti per offrire servizi migliori a tutti, quindi un distretto non deve pensare solo all’utilizzatore finale (turista) ma all’intero ambiente rendendo la città vivibile prima per chi ci abita e poi per il turista. Rendere vivibile una città significa mettere in piedi un’altra industria, una grande filiera di attività che avrebbe più ragione di esistere rispetto a quelle morenti che ci ostiniamo a tenere in piedi.
Nell’era dell’industria 4.0 dove molte delle attività attuali saranno sostituite da robot o dalle nuove tecnologie un’amministrazione che ha come fine il bene comune deve avere una visione “profetica” e non pensare solo al presente. E’ l’industria “leggera” del turismo, verso cui dobbiamo riconvertire l’economia, concentrando l’attenzione sulla valorizzazione dei tesori culturali considerandoli un motore economico, superando la convinzione che la cultura, essendo sacra e intoccabile, se produce valore economico è peccato mortale (i soldi sterco del diavolo).
Roberto Papa