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IL PRIMO TEMPO DEL 2020 TRA HORROR, DISCRIMINAZIONI E SPETTRO DELLA FAME E DELLA POVERTÀ L’INTERVALLO DA “QUIETE DOPO LA TEMPESTA” NON ROSEE LE PREVISIONI DEL DOMANI Giacomo Leopardi ha avuto l’ispirazione di scrivere la poesia “La quiete dopo la tempesta” in seguito all’ infuriare di una tempesta, che ha spaventato i malcapitati recanatesi. La furia degli elementi della natura ha riportato, tra l’altro, ad amare la vita anche a “chi la vita abborria”. Di fronte al pericolo di soccombere a causa del letale virus, ci rendiamo subito conto di quanto sia, al contrario, preziosa e cara la vita. Perderla, poi, per via del Covid-19, che si muove come e peggio di un ladro, è proprio una beffa. Abbiamo visto la tempesta dai rifugi delle nostre case, l’abbiamo seguita attraverso le immagini della televisione. Ci ha messo e continua a metterci paura. E a ragione, perché i contagi crescevano e continuano ad esserci. Le vittime si contano a migliaia. E questo non solo in Italia, ma in tutti i paesi del mondo. Una carneficina globale. Piano piano la bufera si è un po’ calmata.Le conseguenze sono subito apparse terrificanti. Nessuno ha lavorato più, nessuno o pochissimi hanno continuato le proprie attività, motivo per cui l’economia è stata pressoché totalmente sbriciolata. Sulle rovine di un mondo sconvolto è comparso lo spettro della povertà e della fame. Sì torna al “lavoro usato”, direbbe il Leopardi. Non farlo sarebbe stata la fine per la scarsità dei mezzi essenziali della sopravvivenza : il pane e il lavoro. Prima sono usciti i lavoratori delle imprese e delle attività primarie. Poi via via tutti gli altri. Ma non tutti. Altri aspettano. Il 4 maggio si è consentita l’uscita anche a persone, che avevano bisogno d’aria, di verde, di parchi, di giardini, insomma di aria libera. Non è stata una ripresa normale. Sembrava la terra trasformata in un altro pianeta Tutti in maschera,però felici e contenti. Almeno per quel giorno. Le profonde ferite della novella Caporetto c’erano tutte e tragiche. Gli aiuti promessi in alto mare. Inoltre insufficienti e chissà quando concederli. Che fare? I giovani (beati loro!) se la spassavano alla men peggio, gli adulti, invece, alle prese con un domani pieno di incognite. Le chiese ancora chiuse. Le cerimonia religiose ridotte al minimo, come i funerali con non più di 15 persone. Se prima i fedeli già erano molto pochi, immaginarsi alla riapertura quanti ce ne saranno. Bisognava un po’ allentare il rigore delle misure di sicurezza, rompere le righe, far entrare un soffio d’aria pura, ma il panorama del prima della pandemia è decisamente mutato. Non è il ritorno a come eravamo, è, invece, l’inizio di una nuova era, che si annuncia incerta e foriera di altre temibili tempeste. Pino Pompilio

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