Cara Befana… tu che sei la “vecchietta” per antonomasia….
Tutti chiedono qualcosa a Babbo Natale o a Gesù Bambino, io ho preferito attendere te, cara Befana, perché Papa Francesco durante l’Omelia nella Messa in Santa Marta del 30 settembre 2013 ha parlato di vecchi, e tu, per antonomasia, sei la rappresentante massima della simpatia della vecchiaia.
Riflettendo sulle parole di Sua Santità:
“Un popolo che non si prende cura dei suoi vecchi e dei suoi bambini non ha futuro, perché non avrà memoria e non avrà promessa! I vecchi e i bambini sono il futuro di un popolo! Quanto è comune lasciarli da parte, no? I bambini, tranquilli con una caramella, con un gioco: ‘Fai, fai; Vai, vai’. E i vecchi non lasciarli parlare, fare a meno del loro consiglio: ‘Sono vecchi, poveretti’. Il futuro di un popolo è proprio qui e qui, nei vecchi e nei bambini”
sono andato con la memoria ad una canzone del 1972 di Francesco Guccini:
Un vecchio e un bambino si preser per mano e andarono insieme incontro alla sera….e poi disse al vecchio con voce sognante: “Mi piaccion le fiabe, raccontane altre.”
ed alle parole del Vangelo:
Nella Gerusalemme del Signore non ci sarà più un bimbo che viva solo pochi giorni, né un vecchio che dei suoi giorni non giunga alla pienezza; poiché il più giovane morirà a cent’anni e chi non raggiunge i cento anni sarà considerato maledetto”
(Isaia 65,20)
Ed i miei pensieri mi hanno portato a fare alcune considerazioni che voglio condividere con te.
Infanzia e vecchiaia sono l’alfa e l’omega della vita, vissuti nelle parole del testo sacro come beatitudine, poiché la vita è il bene supremo e vivere a lungo, fino alla “pienezza”, significa acquisire la sapienza del cuore ed assumere una funzione testimoniale per le nuove generazioni.
La vecchiaia nella Bibbia, come in tutte le antiche tradizioni religiose, non viene vista come un “non momento” della vita, ma si apre ad una prospettiva di futuro, ha insomma ancora un “avvenire”, ha cioè un compito testimoniale, deve trasmettere sapienza, patrimonio umano e religioso, accumulato nel lento scorrere delle vicende umane.
Una sua funzione è quella di saper dare consiglio, pensiamo al “consiglio degli anziani” quale istituto fondamentale nel governo di antiche tribù dove il “vecchio” non veniva vissuto dagli altri membri della comunità come un inutile e costoso fardello, ma come naturale forte comunicatore, di valori e tradizioni di un popolo.
Ricordo alcune figure di vecchi quali Mosè, Abramo e Tirsia, lo stesso mago Merlino, o Geppetto, o i grandi vecchi del mio novecento: Sandro Pertini, Pietro Ingrao, Giuseppe Dossetti, don Milani, Riccardo Lombardi, Guido Calogero, Norberto Bobbio, Giorgio Bocca, solo per citarne alcuni di quelli che mi hanno insegnato cosa volesse dire “libertà”, “giustizia”, “solidarietà” e “uguaglianza”.
Erasmo Da Rotterdam diceva che “la sera mostra ciò che è stato il giorno, perché ognuno ha la vecchiaia che si merita”.
Aver avuto la vita “piena” ti permette di vivere la vecchiaia pensandola come l’autunno della vita, non identificandola solo con le foglie che cadono ma vedendola come il ribollire dei tini colmi di vino. Anche la foglia che cade, però, ha in se qualcosa di affascinante, il lento volteggiare nell’aria prima di toccare terra, ti rimanda al flusso di ricordi che nell’ultima parte della vita si affacciano alla mente, ricordi di chi ha intensamente vissuto e il suo vivere è stato un insieme di amori e speranze, sogni e illusioni e perché no anche sconfitte e disincanti.
Ognuno vive nella memoria, il passato è il grande patrimonio del vecchio. Da vecchi si ritorna con la memoria a cercare il fanciullo che è in noi: il vecchio ha bisogno del bambino che è in lui e fino a quando avrà questa capacità di ricercarlo, davanti se si aprirà sempre il futuro. Perché oltre al fanciullo che è in lui, il vecchio cerca i bambini intorno a lui, quali segni della generazione che verrà. Fino a quando intorno ai vecchi ci saranno bambini, tanti bambini, i vecchi non saranno mai soli e inutili, perché vedranno in essi la promessa di un futuro.
Un mondo senza bambini è un mondo che si chiude alla speranza:
“gli presentavano anche i bambini perché li accarezzasse, ma i discepoli, vedendo ciò, li rimproveravano. Allora Gesù li fece venire avanti e disse: lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite perché chi è come loro appartiene al regno di Dio. In verità vi dico: chi non accoglie il regno di Dio come un bambino, non vi entrerà” (Luca 18, 15-17)
I vecchi e la loro solitudine sono i segni della trasformazione sociale che ha investito da tempo la nostra società. I casi di vecchi trovati morti dopo diversi giorni si affacciano sempre più spesso dalle pagine della cronaca giornalistica.
Le statistiche demografiche ci prospettano un futuro, relativamente all’Europa occidentale, che prevede che nel 2050 un terzo della popolazione europea avrà oltre 65 anni, qualora non si inverta il trend demografico. Segnali positivi al momento si vedono solo in Francia dove il tasso di fertilità vede le francesi come le donne più prolifiche d’Europa. Avremo società dove i vecchi saranno maggioranza e su questa tendenza il settore privato – a differenza di quello pubblico – si sta già attrezzando per rispondere a richieste e/o esigenze proprie di una popolazione “vecchia” ma ancora “consumatrice” sia di merci materiali che immateriali.
Già oggi c’è chi fiuta il business del duemila: creare luoghi a dimensioni di vecchi, non più “case di riposo” ma veri e propri “villaggi per anziani” all inclusive. Novelli ghetti dorati per anziani con forti capacità di spesa.
Si prefigura quindi un futuro dove avremo da un lato una vecchiaia di solitudine povera e affliggente e dall’altro una dorata in cui il “buen ritiro” sarà la maschera di una solitudine quale prodotto delle dinamiche vuoi demografiche (non aver fatto figli) vuoi proprie della società del profitto e dell’utile dove il vecchio è visto o nella figura del consumatore o dell’inutile soggetto che, non più produttivo, diviene un peso per la società, quando non addirittura per i suoi famigliari.
Ed ecco allora che si fanno avanti i teorici della “vecchiaia felice” in luoghi di vecchi per i vecchi che con la formula del tutto incluso – come se si stesse in un villaggio vacanze – danno in realtà l’impressione, ma vorrei quasi dire la certezza, che quel luogo diventi una gentile deportazione da città e famiglia, che sollevano quest’ultima dal fastidioso onere di liberarsi del vecchio, in quanto soggetto improduttivo, inutile, quasi un peso per la società e la famiglia e non invece una ricchezza di storia, memoria in cambio di affetto e cura.
“In verità, in verità ti dico: quando eri giovane, ti annodavi da te la cintura e andavi dove volevi. Ma quando sarai vecchio, stenderai le tue mani e un altro ti annoderà la cintura e ti condurrà dove tu non vuoi”
Giovanni, 21,18
Non essere più ascoltati: questa è la cosa terribile quando si diventa vecchi.
Albert Camus, Il rovescio e il diritto, 1937
L’amarezza dei vecchi che soffrono il perdersi delle cose d’una volta più di quanto non godano il sopravvenire delle nuove.
Italo Calvino, Il cavaliere inesistente, 1959
I vecchi sono due volte bambini.
Aristofane, Le nuvole, 421/418 a.c.
Cara Befana nell’epoca della rottamazione speriamo che, almeno a te, non ti releghino in qualcuno di quei centri all inclusive. Sarebbe un vero peccato, significherebbe che anche i sogni non hanno più ragione di essere.
Roberto Papa