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ACABQuando l’hanno fermato ha urlato “Poliziotti bastardi”, poi ha sparato contro gli agenti. Da un terrorista dell’ISIS ci si aspetta che nel momento del martirio gridi: Allahu Akbar (Dio è il più Grande), invece usa un’espressione “bastardi” più vicina alle tifoserie violente degli stadi che agli ideali del terrorismo islamico.

“Bastardo” nella lingua corrente assume un significato spregiativo (Treccani) di colui che ha una nascita illegittima, “figlio bastardo” per dire “figlio di puttana”.

Fa quindi un certo effetto vedere su un muro di un parco pubblico della mia città la scritta A.C.A.B. che, per chi non ne conoscesse il significato dell’acronimo, lo ha riportato lo stesso writer con grafia colorata e morbida per esteso:

All Cops Are Bastard (“tutti i poliziotti sono bastardi”).

La cultura, o per meglio dire la “sottocultura”, ACAB nasce nell’Inghilterra degli anni ‘70 negli slums in cui degrado, povertà, rabbia si coagulano negli stadi. I giovani arrabbiati, poi, trovano nel gruppo inglese The 4-Skins la loro colonna sonora. I 4-Skins una band composta da skinheads che frequentava le tifoserie violente inglesi (hooligans) composero la canzone dal titolo ACAB, un acronimo che poi fu adottato come slogan da tutta la cultura skinhead. All’inizio “giovani arrabbiati” privi di una precisa identità politica.

Già negli anni ’50 comparvero sulla scena inglese i “giovani arrabbiati” (Angry Young Men) rappresentati nella commedia del 1956 “Ricorda con Rabbia” del commediografo John Osborne, giovani che esprimevano la loro rabbia verso le istituzioni politiche e sociali. Gli anni sessanta videro una loro progressiva politicizzazione che sfociò nel “maggio francese” del 1968.

La sottocultura ACAB fino al 2000 contagiò quasi esclusivamente il mondo delle tifoserie ultras. La svolta si ha con il G8 di Genova. La morte di Carlo Giuliani ad opera di un carabiniere ha fatto sì che la sottocultura ACAB si fondesse con frange dell’estremismo di sinistra, o presunto tale, quali i Black Block, vedendo nel “poliziotto primo nemico”. In un’epoca dove l’impegno politico si è ormai “liquefatto” anche le parole ne hanno seguito il declino e oggi ACAB resta di proprietà delle curve ultras che nel corso di questi ultimi anni hanno avuto una violenta sterzata a destra. ACAB resta come un marchio che unisce tifoserie fra loro “nemiche” ma unite contro le forze dell’ordine: “I colori ci dividono la mentalità ci unisce”. Su molti muri cittadini, e non solo vicino agli stadi, l’acronimo ACAB è ormai diventato un termine dentro cui si coagulano non solo “tifo calcistico” ma anche identità politiche estremiste per arrivare ad una generica espressione di rabbia sociale.

Come tutti i fenomeni sociali la letteratura e il cinema hanno descritto questo mondo: nel 2009, il giornalista, inviato de La Repubblica, Carlo Bonini pubblica il libro “ACAB – All Cops Are Bastard”, che racconta episodi di violenza da parte delle forze dell’ordine. Nel 2012 esce nelle sale italiane il film, tratto dal libro, di Stefano Sollima con, fra gli altri, Pierfrancesco Favino, Filippo Nigro, Marco Giallini. Cobra, Negro e Mazinga sono celerini e ‘fratelli’ dentro gli stadi, lungo le strade e intorno alle piazze che ‘ripuliscono’ la domenica dagli ultras e i giorni in avanzo dai clandestini, dagli sfrattati, dai delinquenti e dalle puttane. Un film duro che sebbene un martellante “celerini figli di puttana” resti impresso nella testa dello spettatore è soprattutto un film che ci dice che i buoni sono quelli in divisa.

E scrivendo queste ultime parole non possono non ritornare alla memoria quei celebri versi che Pier Paolo Pasolini scrisse a proposito dei moti studenteschi del maggio 1968:

Avete facce di figli di papà.
Vi odio come odio i vostri papà.
Buona razza non mente.
Avete lo stesso occhio cattivo.
Siete pavidi, incerti, disperati
(benissimo!) ma sapete anche come essere
prepotenti, ricattatori, sicuri e sfacciati:
prerogative piccolo-borghesi, cari.
Quando ieri a Valle Giulia avete fatto a botte
coi poliziotti,
io simpatizzavo coi poliziotti.
Perché i poliziotti sono figli di poveri.

E ricordando questi versi che la scritta ACAB sul muro della nostra città, in un parco pubblico, rappresenta non solo uno sfregio al decoro urbano ma una ferita “culturale” alla bellezza di un luogo di pace quale dovrebbe essere un giardino urbano con i suoi alberi.

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E la “cultura del giardino” ci dovrebbe riportare a quella cultura inclusiva, che si basa sul dialogo, che una scritta come ACAB invece nega perché nella parola “bastardo” c’è un carico di violenza e di disprezzo che divide un “noi” contrapposto a un “loro” e che si ritrova tutto in quel “poliziotti bastardi” gridato dall’attentatore di Berlino.

ROBERTO PAPA

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