ARCANA VERBA. FORTUNA E IUPPITER NEL BACKGROUND INDOEUROPEO
Il 17 aprile scorso, nella Sala delle Bandiere del Parlamento Europeo a Roma, é stato presentato il libro «Arcana Verba. Fortuna e Iuppiter nel loro background indoeuropeo. II Il motivo della Sorte esteso», opera di Marcello De Martino, Membro del Consulat Général d’Italie à Genève. Il libro edito dalle Edizioni Edipuglia, é stato presentato dalla prof.ssa Claudia Santi, Docente di Storia delle Religioni alla Seconda Università degli Studi di Napoli e da Mario Borghezio, parlamentare europeo.
Marcello De Martino é linguista, filologo e storico dell’antichità, ha insegnato in molte università straniere, USA e India, ed é membro dell’American Academy of Religion; ha al suo attivo numerosi saggi innovativi sulle diverse teorie linguistiche del pensiero grammaticale antico occidentale (latino e greco) e orientale (sanscrito e tamil); ha scritto una biografia dello storico delle religioni rumeno Mircea Eliade (2008), una monografia sull’identità segreta della divinità tutelare di Roma (2011) e Arcana verba I La polemica tra Brelich e Dumézil e il motivo della Sorte» che ha presentato al Museo Nazionale Archeologico di Palestrina nel 2013.
Con i due volumi, De Martino analizza il rapporto di due divinità romane quali Fortuna e Iuppiter, di cui essa é detta tanto madre quanto figlia. Nel primo volume furono analizzati soprattutto i rapporti che Georges Dumézil ebbe con uno dei migliori rappresentanti in Italia dello studio della religione di Roma, Angelo Brelich, autore del libro “Tre variazioni romane sul tema delle origini” (1955), in cui la parte principale era la polemica religiosa tra Roma e Praeneste. De Martino ha ben rievocato le peripezie e gli scontri “letterari” tra i due studiosi. «Brelich, – scrive Dominique Briquel nella prefazione – invece di ravvisare come voleva Dumézil nel fatto che la Fortuna di Praeneste fosse qualificata tanto come figlia quanto come madre di Iuppiter la traccia di una rappresentazione antica ereditata dal periodo indoeuropeo, non poteva essere incline che ad analizzare questa distorsione e cercando di situarla in ciò che si conosce della storia del Latium: la dominazione di Roma su Preneste, imposta a seguito della guerra latina, avrebbe prescritto una visione propriamente romana della dea, facendo della grande divinità oracolare della città una figura subordinata del dio che troneggiava sul Campidoglio».
De Martino si occupa più particolarmente delle sortes e della Fortuna prenestina nel primo capitolo (pp. 11-52), dove riporta testimonianze e documenti, primo fra tutti il famoso passo del De divinatione di Cicerone che riporta la leggenda della nascita del culto e dell’oracolo di Preneste. De Martino analizza il brano in tutte le sue sfaccettature paragonando personaggi e oggetti ai culti indoeuropei. Per descrivere ancora meglio il luogo di culto prenestino, il “locus saeptus religiose” di Cicerone, l’autore propone due fotografie, la prima riproducente il pozzo sormontato da una tholos che si trovava nella terrazza degli emicicli del santuario superiore, che sarebbe il vero luogo dell’estrazione delle sorti, e la seconda un disegno prospettico dello stesso con le misure della profondità e con la raffigurazione del rivestimento interno in opera incerta fino a m. 5,40, poi con blocchi di tufo bugnato applicati direttamente sulla roccia; uno di questi sembra non vi fosse mai stato, lasciando una cavità in cui sarebbe stata riposta l’arca con le sortes.
Un giudizio dell’opera lo lasciamo a Dominique Briquel, col quale concordiamo: «Noi non dobbiamo esporre le vedute dell’Autore su questo mito che spiega il Destino del Mondo e la conoscenza che gli umani potevano averne attraverso una procedura divinatoria come quella delle sortes di Preneste che egli ci impone di trovare con lui; vogliamo solo notare la ricchezza della sua informazione scientifica e l’ampiezza della sua indagine, poiché alla nota del 1956 di Dumézil che non si fondava che sulla Scandinavia e il Latium, egli aggiunge dei dati tratti da quasi tutti i settori del mondo indoeuropeo».
Angelo Pinci