Aurelio Picca sold out a “Velletri Libris”
L’istinto animale del criminale e la ricerca della ferocia di Roma
Una serata particolare e intensa, visto il calore che il pubblico di Velletri ha dimostrato nei confronti del “suo” scrittore Aurelio Picca. Una delle più grandi penne della letteratura italiana contemporanea, mai banale e sempre capace di trovare la formula giusta per far entrare il lettore nelle dinamiche dei suoi romanzi, l’autore de “Il più grande criminale di Roma è stato amico mio” (Bompiani) ha presentato il suo ultimo capolavoro alla Casa delle Culture e della Musica nella sesta serata di “Velletri Libris”.
La rassegna, ideata da Mondadori Bookstore Velletri in collaborazione con Fondarc, è stata aperta dall’anteprima dedicata al premio letterario con la presentazione del racconto “Volevo solo essere me stessa” di Alessia Mattacchioni, pubblicato nell’antologia dei vincitori “Per un pugno di storie”. Subito dopo, sul palco, Paolo Di Paolo e Aurelio Picca.
L’introduzione di Di Paolo è stata utile ad entrare subito nell’atmosfera stilistica e tematica di un romanzo che ha già riscontrato un grande favore di pubblico per originalità e realismo: “Ha delle pagine che arrivano incandescenti, trovare il tono di voce giusto per questo libro significa dare forma a un personaggio ben preciso, il più grande criminale romano”, ha sottolineato Di Paolo nel descrivere la storia dell’amicizia (non complicità) tra Lallo De Santis e Alfredo.
Il momento più atteso è finalmente arrivato e Aurelio Picca, salutato da un lungo applauso, ha così raccontato l’ultima fatica letteraria: “Tutti i miei libri attraversano l’oscillazione fra la vita e la morte, compreso questo. C’è una grande differenza tra i vecchi criminali e quelli odierni, dei vecchi mi interessava l’animalità, l’istinto, la ferocia”.
“Il libro” – ha proseguito Picca – “parte lontanissimo e risponde in un certo senso al mio carattere, educato e ribelle, reazionario con se stesso e liberale con gli altri”. Perché proprio la storia di Laudovino De Santis per una narrazione letteraria? La risposta l’ha data lo stesso scrittore: “Tengo d’occhio Lallo da quando ero ragazzino, e vedevo le immagini in bianco e nero di questo criminale. Mi sembrava, al netto di ogni giudizio, la ribellione contro il mondo fatta persona. Poi l’ho dimenticato per tanti anni, ma vivendo una condizione di analisi su me stesso quotidianamente mi sono risentito sempre più un uomo estremo che sta facendo i conti con la propria vita. Se non sciogli dei nodi, questi vengono al pettine e la vita non fa sconti. Allora ho accettato la sfida, anzi ho voluto anticiparla, e mi sono trovato nei panni di Alfredo Braschi”.
Quest’ultimo, infatti, nel romanzo arriva ad un autentico bivio della propria esistenza e le sue sensazioni, le sue impressioni, insieme alla collocazione storico-temporale operata da Picca nel tessuto narrativo lo rendono talmente realistico da far venire il dubbio che sia realmente esistito. Lo scrittore, nato a Velletri, ha un legame importante con il territorio dei Colli Albani: “Ho cominciato a riscoprire una terra che avevo dismesso a vantaggio di passeggiate più selvagge. I Castelli, sembra brutto dirlo, mi sembravano un hinterland di Roma. Invece il Lago Albano era il luogo giusto per questo romanzo, è cresciuta in me la terra insieme al corpo, con la volontà di investigare questo uomo, Alfredo, e usarlo come specchio del lago per vederci dentro Laudovino”.
Il titolo del romanzo è parlante ma mette al riparo da equivoci artistici: non è mai stata intenzione di Aurelio Picca scrivere una biografia del criminale, bensì la precisa volontà risiede nella ferocia dell’uomo che ben si sposa alla ferocia dei luoghi. Un trapianto molto difficile, per stessa ammissione di chi lo ha realizzato, sullo sfondo di una Roma sempre protagonista: “La capitale ha avuto la medaglietta d’oro e si è cercato di farla diventare metropoli. La hanno così staccata dai rioni, da sette colli, è un assemblaggio pericoloso che mostra tutta la dannosità e la tragedia dell’espianto. Roma ha perso la ferocia, non c’è nostalgia, un tempo era feroce nel bene e nel male e quella ferocia ha prosperato in vitalità e grandezza”.
Prima del lunghissimo firma-copie, che ha testimoniato il grande affetto di Velletri verso lo scrittore, un ultimo interessantissimo passaggio sul concetto di realismo in letteratura: “La realtà” – ha detto Picca – “non è solo quella che si vede, come diceva il Gruppo 63, è più complessa. Il mestiere dello scrittore realista deve essere in grado di vedere in superficie e in profondità, quindi allargare gli spazi. Ci stiamo abituando a leggere o ad accettare l’idea che le cose che leggiamo già le sappiamo, invece io ancora mi emoziono quando leggo, intuisco che quel pensiero è anche mio, ma non so tutto”.
Rocco Della Corte