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14 aprile 1995: un Venerdì Santo gelido: a sera incominciò a nevicare.

Era una neve tardiva, diaccia, portata da raffiche di vento sferzante.
Così celebrammo la Via Crucis non per le strade della città, ma dentro il chiostro di Santa Maria, girando più volte attorno al quel cortile immerso nell’oscurità, salmodiando i funebri ritornelli della Via Dolorosa alla luce di torce e candele che sole baluginavano nelle tenebre e rischiaravano la bufera tra gli archi, i pilastri pesanti, i tetti, il vecchio pozzo.

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Uno dei più suggestivi ricordi della mia adolescenza è legato al convento di Santa Maria, ed è solo uno dei tanti: vi furono tante giornate, feste, recite, matrimoni. Non fatico a immaginare che sia lo stesso per molti, per gran parte degli zagarolesi.
Da quasi ottocento anni il convento francescano di Santa Maria sta lì ad accogliere memorie: quelle “storiche” dei Francescani, dei Colonna, dei Rospigliosi, e quelle assai più piccole, ma non meno preziose, di ciascuno di noi.
Da ieri, 28 settembre 2014, i Francescani che lo avevano fondato – probabilmente ai tempi dello stesso San Francesco – non ci sono più: è finita una storia secolare e il destino del convento è tutto da decidere.

Se ne occuperà, come è giusto che sia, la Diocesi. Ad essa è affidata la speranza che il convento possa sopravvivere all’abbandono da parte dei suoi fondatori: non importa in quale forma e con quale destinazione, purché sia rispettosa delle strutture e della storia del luogo.


Agli Zagarolesi spetta invece il compito di vigilare, con cura, attenzione e lucidità, sulla conservazione della loro memoria.

Gabriele Quaranta

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