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La lettura di Piero Calamandrei, uno dei nostri padri costituenti, torna utile quale chiave di discernimento della nostra realtà.

In un dialogo con i giovani del 1955, diceva: “Per questo una delle offese che si fanno alla Costituzione è l’indifferenza alla politica, l’indifferentismo politico che è una malattia dei giovani”. Purtroppo le recenti elezioni amministrative dimostrano che quell’indifferentismo sta colpendo un po’ tutti gli strati sociali. Se quaranta persone su cento (erano 33 nel 2012) non vanno a votare per i proprio Comuni vuol dire che si è creato un vulnus tra cittadini e cosa pubblica che rischia di aggravarsi sempre di più prendendo la forma di quella “postdemocrazia” di cui Colin Crouch ci parlava già nel 2003 quando scriveva “i politici sono meno riveriti che mai e godono del minor tasso di rispetto acritico da parte del pubblico e dei mass media”. Ed eravamo ben lontani dall’affermarsi dell’assenteismo e dei movimenti “populistici”.

L’indifferenza verso la politica è stata sicuramente generata dalla corruzione diffusa che ha permeato ogni ganglio della nostra società. Oggi facciamo sempre più fatica a credere ad ogni promessa che i politici, non tutti per fortuna, fanno. Cresce la disistima nei loro confronti, cresce il numero di chi non va a votare, e in parallelo crescono movimenti che fanno della “politica della pancia”, fondata sulla paura, il loro credo. Le “chiacchiere” dei politici sono sempre più lontane dai reali bisogni del popolo. Se parole forti sulla “dignità del lavoro”, sulla “centralità della famiglia”, sul “bisogno di pace e fratellanza” debbono essere sempre più spesso gridate da un Papa invece che diventare pane quotidiano per chi si mette al servizio del Bene Comune, vuol dire che stiamo assistendo ad un inesorabile invecchiamento e svuotamento della democrazia e della sua missione: “la più alta forma di carità” (Paolo VI). La disaffezione al voto è il segnale del distacco dei cittadini dalla gestione della res pubblica, non rendendosi conto che proprio nelle amministrative invece si decide del suo tenore di vita quotidiano (dalle tasse comunali, allo sviluppo economico del proprio territorio, alle politiche culturale, dalla qualità dei trasporti all’accesso agli asili nido, dalla pulizia delle strade alla gestione dei rifiuti) ma che il voto comunale va ad incidere su due pilastri fondamentali: il lavoro e la famiglia. Il non voto comunale rileva soprattutto una disaffezione verso la “civitas”, verso quel tessuto di relazioni umane che soprattutto nei nostri paesi, ancora a dimensione umana, svolgono una funzione importante (pensiamo solo ai rapporti di prossimità con il vicino di casa, il negoziante, almeno quelli che sopravvivono all’avanzare dei centri commerciali, non per niente definiti “non luoghi”).

Oggi azioni di rottura, ma pur sempre nel solco della tradizione, le compie un Papa che nella scelta del cardinale Bassetti vede, ad esempio, non il “passo delle elite” ma quello “cadenzato e stanco, misurato sugli ultimi più che sui primi” (don Primo Mazzolari). Nel vuoto culturale e ideale in cui si dibattono le elite politiche di maggioranza e di opposizione, la Chiesa Cattolica appunto è l’unica capace di riempiere questo vuoto. E non è un caso se tutti i politici “mondiali” riconoscono in Francesco un autorità morale, ma proprio perché tale è anche politica o meglio geopolitica, capace di riempire questo vuoto.

La fine delle grandi famiglie politiche, a partire dal 1989 proseguita per l’Italia con il 1992, sembra avviata ad un lento ed inesorabile e irreversibile declino e il voto francese ne è evidente dimostrazione. Oggi l’unico pensiero forte, dentro una visione della storia a livello mondiale, unica risposta alla globalizzazione e finanziarizzazione del mondo, è quello espresso da papa Francesco che a partire dall’Evangelii Gaudium per arrivare alla Laudato Si offre al mondo una lettura dei “segni dei tempi” che coniuga quei principi di libertà, uguaglianza e fraternità che elite politiche, troppo spesso asservite al pensiero unico della “finanza”, pensiamo solo alle “compatiblità di bilancio”, il “fiscal compact”, gli accordi sul commercio internazionale, non riescono più a rappresentare.

Questione sociale (il discorso del papa agli operai dell’ILVA di Genova) e questione ambientale (l’enciclica Laudato Si) decideranno quale futuro vorremo dare ai nostri figli. Francesco fa il suo “mestiere”, spetta ai politici nazionali ma soprattutto a quelli locali, da qui l’importanza delle elezioni amministrative, riavvicinare il popolo alla “res pubblica”, cominciando dalle giovani generazioni a cui imputiamo l’indifferenza verso la politica (e qui rileggere Gramsci di “odio gli indifferenti, ma anche Pasolini di “Scritti corsari” ci starebbe bene). Democrazia poi non è l’uso del web (serve ma non è sufficiente). Una società connessa ma senza spazi pubblici in cui creare relazioni è una società “finta” in cui il potere delle elite domina contro il potere “reale” che un tempo si esprimeva attraverso la forma partito, la sua rappresentazione popolare.

L’indifferenza che emerge dal non voto serve a chi per conquistare il potere si basa sul qualunquismo e il populismo, il tutto condito da leadership autoreferenziali fatti da “cerchi magici”, da primarie giubilanti ma che nulla hanno a che fare con “la democrazia dei partiti” gestiti secondo trasparenza e regole già previste dalla carta costituzionale.

Che fare? Al di la degli slogan a fini elettoralistici oggi ritornano di moda i migranti e i rom, variazione umana degli scarti, così come la battaglia tutta strumentale ed ideologica su “rifiuti e discariche” slogan usati solo per pesare il probabile peso elettorale. Occorre ripensare una politica, quella con la P maiuscola, a partire dall’esperienza concreta della “civitas”, restituendo ai cittadini la sensazione non di essere solo un “numero” ma una “persona con la sua dignità” che viene ascoltata (la vicenda dei referendum, quello sui voucher, ma anche quello sull’acqua pubblica, sono vulnus alla democrazia) e che ha un ruolo di decisivo nella scelta di ciò che è Bene Comune. E la restituzione può avvenire solo all’interno di relazioni costruite sui territori attraverso una radicale opera di (ri)educazione alla cittadinanza, che non deve passare solo attraverso strumenti tecnici quali le modalità di voto (maggioritario e/o proporzionale) ma soprattutto ricostruendo le basii morali ed etiche delle nostre comunità. E’ questo il solo antitodo per contrastare il “rifugio nel privato” quale conseguenza all’indifferenza. Perché non dimentichiamolo mai la nostra vita privata, la sua qualità, dipende dal contesto in cui viviamo: un luogo bello ci spinge verso la bellezza, un luogo degradato, una “società guasta”, alimenta rabbia e depressione ed è su questi sentimenti che i demagoghi costruiscono il loro potere.

       Roberto Papa
Responsabile Pastorale Sociale e Lavoro
Diocesi di Palestrina 

 

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