In Mostra a Venezia il Polifilo Prenestino
ALDO MANUZIO, IL RINASCIMENTO DI VENEZIA
Inaugurata a Venezia, una mostra che celebra i cinquecento anni della morte di Aldo Manuzio (1449-1515), considerato il principe degli stampatori del Rinascimento. La Mostra, curata da Guido Beltramini, Davide Gasparotto e Giulio Manieri Elia, e allestita in alcune nuove sale recuperate alle Gallerie dell’Accademia, sarà aperta al pubblico fino al 19 giugno c.a.
Manuzio, nato a Bassiano, provincia di Latina, ha studiato e insegnato a Roma, poi a Ferrara, Carpi, Mirandola e infine, nel 1490, a Venezia dove, alcuni anni dopo iniziò la sua attività editoriale. E’ colui che ha inventato il carattere corsivo, detto “aldino” dal suo nome, l’elzeviro, l’articolo di fondo di un giornale dedicato ad argomenti di carattere letterario, artistico, storico, e il libro tascabile, piegando un foglio in otto. Con la stampa dei classici antichi in piccoli volumi, li trasformò da oggetti per poche persone a oggetti, sia per il formato che per il prezzo, alla portata di molte tasche.
Nella mostra sono stati radunati circa cento volumi, alcuni dei quali sono tornati a Venezia dopo secoli, stampati tra il 1495 e il 1515; tra essi si può ammirare la prima edizione aldina, in cui Luciano descrive due quadri di Apelle e Zeusi, quattro volumi con l’opera omnia di Aristotele, ma anche quello che il letterato Domenico Gnoli ha definito “la migliore opera fantastica, il più bel libro illustrato del Rinascimento”: l’Hypnerotomachia Poliphili. L’opera, stampata nel 1499, per l’occasione, é stata riprodotta con le sue 172 xilografie e i suoi 38 capitoli.
Il libro, il cui titolo significa letteralmente “Pugna d’amore in sogno di Polifilo”, é considerato uno dei capolavori tipografici di tutti i tempi. Stampato in folio, é scritto in volgare, un italiano maccheronico mescolato al latino, greco ed ebraico, un testo strano, quasi illeggibile, la cui interpretazione pone infiniti problemi di cultura antiquaria, linguistici, figurativi. Le illustrazioni sono ricavate da 172 incisioni su legno realizzate da un artista rimasto ignoto, ma certamente di eccelse capacità. Nel libro, l’autore esprime tutte le sue conoscenze di filosofia, architettura, astronomia, botanica, astrologia, intrecciandole ad una storia d’amore tra Polifilo e Polia: é un viaggio iniziatico verso la ricerca della verità spirituale. Il nome dell’autore si ricava dalle iniziali dei 38 capitoli che, se lette di seguito, formano la seguente frase: Poliam Frater Franciscus Columna peramavit, cioé “Frate Francesco Colonna amò immensamente Polia”.
Sull’identità dell’autore sono stati scritti migliaia di libri e articoli e la querelle é tra la fazione di coloro che lo identificano nel Francesco Colonna, frate veneto, e quelli che lo identificano nel Principe di Palestrina. I sostenitori della prima tesi sono guidati da Giovanni Pozzi che ha sempre sostenuto, con tutte le sue forze ed anche con veemenza, la tesi del frate veneto, anche se per lui non c’è nessuna testimonianza storica.
Tra i fautori più accesi della tesi prenestina é Maurizio Calvesi, uno dei più famosi storici dell’arte italiana. Le sue ricerche, iniziate nel 1965, lo hanno portato a identificare l’autore nel principe prenestino, figlio di Stefano, umanista e membro dell’Accademia romana fondata da Platina e Pomponio Leto, i cui membri usavano l’appellativo di frater. Tra le “prove” addotte da Calvesi alcuni quadri del Rinascimento, il mosaico nilotico, la scritta sul portone del palazzo baronale: Franciscus Columnigeri aedificavit 1493, la struttura piramidale che il protagonista si trova di fronte nel suo viaggio, l’esame dei numerosi monumenti descritti ed illustrati nel testo ed anche il fatto che il Principe aveva molte più possibilità economiche di stampare un libro di tale importanza che non un semplice frate.
Il libro é di inestimabile valore tanto che negli anni Novanta, la Sotheby, la più famosa casa d’aste al mondo, ne ha battuta una copia a più di cento milioni di lire. Così scriveva l’anno passato Umberto Eco su L’espresso, in un articolo sull’impossibilità di commerciare con l’estero i libri antichi: “Poniamo ora che un antiquario italiano metta in catalogo l’Hypnerotomachia Poliphili, stampato da Aldo Manuzio e considerato il libro più bello del mondo. Giusto che un ente governativo controlli se il libro non possa essere trattenuto in Italia. Ma se nessuna biblioteca pubblica é in condizioni di acquistarlo, meglio che vada altrove a celebrare le glorie dell’arte tipografica italiana”.
Angelo Pinci