Messaggio di Natale del Vescovo Domenico Sigalini
Natale 2015
In questi giorni abbiamo buoni sentimenti, compiamo qualche rito bonario o gesto di fede, a seconda del perché andiamo a Messa la notte di Natale; nessuno di noi intende mettere avanti le mani per darsi meriti o patenti di bontà. Ci facciamo tutti uguali davanti a un richiamo più forte di noi, scritto dentro le nostre vite da tradizioni, culture, parole, da gesti semplici di papà e mamma, di nonni, preti, pazienti catechisti, maestri che ci hanno insegnato che nella vita abbiamo bisogno di credere in qualcosa per vivere.
Ma il Natale, e ancor meglio sarà la Notte Santa, ci deve aiutare a riposizionarci nella nostra storia, per non consumare tutto con i riti di una festa, in cui il festeggiato rischia di essere messo all’angolo, perché ormai ne siamo noi il centro.
A monte di questi nostri sentimenti tenui ci sta una storia brutta, come una deflagrazione distruttiva, entro le domande grosse della vita. Da dove vengo? Dove vado? Perché il dolore? Perché il male? La cattiveria? La morte? Perché l’ingiustizia? Perché le nostre vite vengono falciate da un cieco destino? Perché questi bambini sono finiti in fondo al mediterraneo, il nostro mare? Esiste un destino dal cuore di pietra? Perchè ho perso il mio miglior amico, perché ho avuto cuore così duro da lasciarlo solo al suo destino? E ritorna la parola destino, tra le più brutte che un cristiano può dire.
Non c’è nessun destino, non c’è nessuna disgrazia. C’è all’inizio un progetto di mondo bello. Dio ha creato cielo e terra, ha fatto cose meravigliose, un mondo come un orologio perfetto: bello, preciso, giusto, vero, ben disegnato. Ma dentro mancava la vita. E Dio disse: ci metto come re, l’uomo, lo faccio così bene che mi rassomigli. Non voglio che il mondo sia governato da una macchina, voglio che sia la gioia e la soddisfazione di un uomo libero. Questo uomo e questa donna li faccio belli, puliti, entusiasti. Devono avere la possibilità di decidersi sempre per il meglio, non avere tarli interiori che li possono indebolire o ingannare. Adamo ed Eva erano felici. Ci state, dice Dio, a rendere sempre più bello con il vostro ingegno, la vostra fantasia questo mondo, questo universo? Volete dare vita a una umanità sana, intelligente, orgogliosa di assomigliare a Dio?
La risposta è un no solenne. Bastiamo a noi stessi, tu Dio non c’entri più niente. Dovevi pensarci prima. Avresti potuto sapere che rischiavi grosso. Questo mondo ce lo prendiamo in mano noi. Tu non c’entri più.
E l’abbiamo fatto a nostra immagine, gli abbiamo scritto dentro le nostre cattiverie, le nostre disperazioni, i nostri incubi. E comincia la storia del dolore, della violenza, della guerra, della ingiustizia.. Al catechismo lo abbiamo imparato come il peccato originale, ci siamo messi in testa una mela e non ce la leva nessuno dalla memoria. La mela è questo no.
Ma Dio non demorde, non si adatta al fallimento del suo progetto, vede che nel fondo dell’uomo c’è un grido di aiuto, una invocazione di speranza e fa un altro tentativo. Vuol farsi uomo per salvare dall’interno l’umanità e rischia un’altra volta.
Stavolta va da una giovane ragazzina di Nazaret. Una ragazza pulita, senza malizia, come era Eva del resto e rischia ancora la stessa domanda. Vuoi ridare a questo mondo la bellezza primitiva, vuoi darmi una mano a rifare il mondo. Vuoi essere la madre di mio figlio? La ragazza dice sì. Accetto; quel poco che sono lo metto a disposizione, so che tu abbatti i potenti, rimandi i ricchi a mani vuote, ascolti il povero. Ebbene sì , la mia vita prendila tutta, mi fido, mi sento di allargare il mio progetto di vita al tuo grande sogno. E nasce Gesù. Dio stavolta ha rischiato e ce l’ha fatta.
Noi facciamo parte di questa storia. Entro questa storia si sono costruite le nostre cattedrali, sono cresciute le nostre speranze.
Non viviamo in un mondo senza senso. Non siamo abbandonati, ma siamo sempre di qualcuno, siamo di Dio. Con questo secondo rischio, Dio ha visto che l’umanità si è convertita a lui, in attesa che tutti lo facciano per sé e per la propria vita. E’ vero che la terra è spaesata, ma il cielo non è vuoto. Il cielo s’è mescolato alla terra e l’ha riprogettata.
Quando siamo cattivi, quando buttiamo via la nostra vita e mettiamo in pericolo quella degli altri, vuol dire che non abbiamo preso sul serio il Natale, l’abbiamo abbassato a festa, o solo a sentimenti di occasione.
Noi però almeno a Natale vogliamo dire a Dio che ci piace stare in questa storia affascinante, ma abbiamo bisogno di sapere che contemplare suo figlio nel presepe, ce lo permette di sperimentare nella vita quotidiana, nelle nostre sofferenze e soddisfazioni, nelle incertezze per il nostro futuro, nel nostro lavoro che mai come di questi tempi diventa un’ancora cui appendere speranze e avere certezze. E dargli una mano a rendere più bello il mondo, senza caricarlo delle nostre sconfitte in umanità.
Il vescovo Domenico di Palestrina