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La canzone dei Righeira di alcuni decenni fa, proseguiva col dire e un altro anno se ne va! Archiviate le feste del Giglietto e il Palio. Palestrina è destinata a ritornare nell’oblio come del resto avviene da decenni.

E no, cari Amministratori! La città vi ha eletto per avere una svolta ! Siete voi i fautori della ripresa e della ricollocazione della città Prenestina tra i siti turistici che vale la pena visitare. Siete una delle Amministrazioni più giovani d’Italia e dimostrate che avete voglia di fare! Potrete anche sbagliare per inesperienza, ma almeno ci avete provato. Prendete le distanze da chi vuol seguitare a cementificare il territorio. Riappropriatevi di siti archeologici soffocati e penalizzati dalla compiacenza di chi ha favorito un’edilizia selvaggia. La zona dove ci sono le rovine del “Mercato degli schiavi” grida vendetta. 

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Un Museo che non è stato mai valorizzato come si deve e che è oltretutto mal gestito. E questo lo dico con cognizione di causa. Alcuni prenestini si stanno svegliando e mi fanno notare le famose opere incompiute che gridano vendetta come il Palazzetto dello Sport e la zona del Macello su cui dovrebbe sorgere la Biblioteca Comunale. Opere iniziate e mai portate a termine. Per non parlare poi di altri luoghi che andrebbero restaurati, come il Seminario e valorizzati come Via degli Arcioni. Sono queste le opere che potrebbero far risorgere Palestrina e inserirla tra i luoghi che meritano di essere visitati.

Ma perché, direte voi, questo sfogo? E’ presto detto. Mi è capitato di leggere un articolo pubblicato nel 2008 da La Repubblica a firma Claudio Damiani:

Oracoli, cannoli e turisti giapponesi è Palestrina, città della Fortuna

E’ bello arrivare a Palestrina facendo la via Prenestina da Roma. Dopo il raccordo la via antica compare a tratti ora a destra ora a sinistra. C’è un campo arato attraversato da una striscia piatta, di terra non arata: è lì sotto. L’ aratro, a andar lì, si romperebbe i denti. A un tratto, dopo il bivio per Gallicano, la strada punta dritta alla meta. Alla mia sinistra ho i monti Prenestini bellissimi, pieni di grotte e doline, sempre più vicini, con Guadagnolo in alto, a destra cerco con gli occhi, stando attento a non uscire di strada, se mai spunti tra la vegetazione un rudere che non ho mai visto, ma so che c’ è, una specie di Colosseo in miniatura. Non lo vedo, neanche stavolta. Qualche chilometro prima del paese l’ antico basolato rispunta sulla sinistra, e è conservato benissimo, sta accanto alla strada nuova, lavato dalla recente pioggia, con foglie di platani sparse. Le case si infittiscono, passo davanti all’ Istituto Commerciale Luzzatti dove ho insegnato anni fa. Rivedo la pasticceria siciliana dall’ altra parte, celebre per la crema sapida e densa dei cannoli, perdizione di docenti e discenti. Devo cercare di non fermarmi. Non mi fermo anche perché non c’ è parcheggio. Sono adesso nella “città nuova” (si fa per dire: ha duemila anni!), costruita da Silla dopo aver distrutto la vecchia, perché fedele a Mario. Sono luoghi, questi, abitati da sempre. Nel settimo secolo a. C., quando Roma era agli inizi, Praeneste era ricchissima e potente, la più importante delle città latine. Posizione formidabile, sul passaggio tra Etruria e Campania. Un tempio, dedicato alla dea Fortuna, diventato sempre più grande, uno dei più importanti del mondo antico. Folle di pellegrini venivano qui a interrogare l’ oracolo da tutte le sponde del Mediterraneo. Giro in via Pio XII, ed eccolo già davanti, l’ enorme muro della prima terrazza. Di questo tempio a gradoni, tipicamente ellenistico, fa impressione la grandezza: non è lui nel paese, ma il paese dentro di lui. Parcheggio alla Porta del Sole, di cui ammiro il restauro, un fiume di turisti giapponesi scende giù da una scalinata verso un pullman che li aspetta, mal parcheggiato tra la spalletta della strada e un chiosco di informazioni turistiche. Il chiosco prima non c’ era, e così anche una scala mobile a cielo aperto nuova luccicante che molto mi meraviglia, e che comunica con uno spiazzo sottostante forse destinato a parcheggio. Quando insegnavo qui quindici anni fa scommettevo coi miei ragazzi che Palestrina avrebbe presto avuto uno sviluppo turistico strepitoso, che sarebbe diventata meta obbligata del turismo archeologico transitante a Roma, e li invitavo anche a considerare nella loro carriera di studi l’ opportunità lavorativa che tutto ciò avrebbe comportato. Loro erano un po’ dubitosi, ma si entusiasmavano ai miei racconti di storia prenestina, e li incitavo, anche con visite nei luoghi, a studiare la loro meravigliosa città. «Che è successo – chiedo alle due ragazze del chiosco – in questi ultimi anni, quanto a sviluppo turistico?». Le ragazze sono un po’ dubitose, sorridono dicendo che qualcosa è stato fatto, ma forse poco, che i turisti non sono tanti più di prima. Qualcosa è stato fatto, dico io, ma forse è poca la comunicazione, è qui che bisognerebbe forse soprattutto fare. Loro acconsentono. Le lascio, bellissime, nel loro chiosco vetrato. Prendo il corso principale, arrivato alla piazza dov’ è il monumento “a Giovanni Pierluigi da Palestrina principe della musica”, noto, accanto alla cattedrale, un portone aperto che avevo visto sempre chiuso. Vuoi vedere, mi dico quasi tremante, che hanno aperto l’ area sacra della basilica con l’ antro delle sorti e i famosi mosaici di argomento marino che mai avevo visti? E’ così. Ci sono pure due custodi e l’ ingresso è gratuito. Nell’ antro dove si traevano i responsi, pendenti dall’ ombrosa volta absidata mi colpiscono strane figurine di carta nera oscillanti al vento. Oddio, non mi dire che è un intervento di un artista contemporaneo? Chiedo alle signore custodi e loro mi rassicurano subito ridendo: «Sono degli spaventapasseri aerei per piccioni, li abbiamo fatti noi». Sul corso vedo una gran quantità di agenzie immobiliari. Cerco un forno per un pezzetto di pizza bianca, altrimenti svengo. Ecco, lo vedo: ha una scritta antica “forno” in rilievo, e sotto addirittura uno stemma con le tre api dei Barberini. Faccio per entrare ma è un’ agenzia immobiliare. Però, più avanti, c’ è un forno per davvero, con scritta moderna. Mi sembra di ravvisare nel ragazzo che serve un mio ex-allievo: è, o non è? Lui non mi riconosce, quindi non è. Per vedere questa città tempio non bisogna andare su con la macchina al museo e poi magari affacciarsi alle terrazze alte, bisogna invece prendere il primo vicoletto a destra dopo la cattedrale e salire su: la salita ha qualcosa della passeggiata archeologica e, insieme, dell’ escursione in montagna. 

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Rampe, scale, esedre, e il panorama sempre più ampio. E’ impressionante quanto hanno costruito, la piana sotto è diventata una città, fin quasi ai Castelli. Vedo i cipressi alti del cimitero. Anche questo, come il paese, è adattato su edifici precedenti, in questo caso la villa di Adriano, dove fu trovato il famoso busto di Antinoo (oggi a Palazzo Braschi a Roma), l’ amasio dell’ imperatore. A Palestrina c’ era anche una Pietà di Michelangelo (oggi a Firenze all’ Accademia). La Triade capitolina trovata nel ’94 a Guidonia e collocata su al museo, invece, sarà importante quanto volete, ma è brutta parecchio. C’ è un pezzo invece su al museo, che vale un viaggio intercontinentale: il mosaico del Nilo, del secondo secolo a. C. Per me è il più bel mosaico dell’ antichità, è una cosa che neanche Roma ha. Sta nella stanza più alta del museo. Faccio le scale di corsa, rivederlo è un’ emozione forte. Il museo è vuoto di visitatori, c’ è molto personale, tra l’ altro ho letto l’ orario di apertura ed è notevole, tutti i giorni dalle 9 alle 20. Sono solo davanti al grande Nilo, sta arrivando un custode. Il Nilo, la natura ferace, l’ abbondanza, la fortuna, brilla di infiniti colori, il mio sguardo vaga tra strani animali e piante, capanne e case, città, imbarcazioni, cacce, tribù e genti diverse. Mentre guardo mi casca in testa una goccia. Alzo gli occhi, sul soffitto c’ è una perdita d’ acqua. Mi dice il custode che c’ è da tanto tempo, hanno fatto infinite volte richiesta di riparazione, ma niente. Siccome il mosaico è come un romanzo, sarebbe bello sedersi. «C’ erano delle poltrone anni fa – mi dice il custode – poi si ruppero. Le abbiamo richieste non sa quante volte, da anni. Lei le vede? Quello che manca qui è la mentalità. Ci vorrebbe pubblicità, promozione, ma si spende tutto in feste paesane. Il museo è collegato con Villa Adriana, però nelle pubblicità che vedo si parla solo di Tivoli, mai di Palestrina. Vengono i centri anziani e le scuole, qualche visitatore il sabato e la domenica. Ad ammirare il mosaico poi sono quasi solo stranieri, gli italiani passano avanti».

Quanta nostalgia ed amarezza in questo articolo. L’ho salvato e ogni tanto andrò a rileggerlo. E’ un consiglio questo che rivolgo anche ai nostri Amministratori. Cercate di fare di più per la città che vi ha dato un mandato in bianco, solo sulla fiducia. Ebbene non deludeteli come hanno fatto chi vi ha preceduto.

Il Direttore, Antonio Gamboni

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