Pensieri di un cristiano verso i fratelli migranti
Pensieri di un cristiano verso i fratelli migranti
A leggere non solo quotidiani nazionali ma soprattutto giornali cartacei e on line che circolano sul nostro territorio, per non parlare di post su FB, si nota sempre più spesso un diffuso sentire xenofobo sia da parte di comuni cittadini sia da chi ha responsabilità a livello amministrativo e politico. Frasi del tipo “prima noi italiani poi (casomai) loro” oppure “se proprio ci tieni prenditeli a casa tua” o “non sono razzista ma…” sono affermazioni che sempre più spesso sentiamo anche da persone che per cultura e religione dovrebbero vedere l’altro come fratello. Penso ai tanti che si definiscono cristiani “fedeli della domenica” che mentre si battono il petto in chiesa durante l’eucarestia, fuori assumono atteggiamenti xenofobi se non addirittura di “odio razziale”, dimenticando che non solo la Dottrina Sociale della Chiesa ma anche la nostra Costituzione all’art. 3 , fra i principi fondamentali e non modificabili, stabilisce che “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. La paura del diverso (sia per razza, religione, cultura ma anche a chi è portatore di handicap) ci impone proprio a partire dall’attualità delle ultime settimane (gli sbarchi di migranti che per qualcuno assumono nel suo immaginario “un’invasione barbarica”) ad una presa di coscienza sempre più profonda rispetto ai cambiamenti che la nostra società sta vivendo. In tal senso, per superare visioni parziali e superficiali, occorre un confronto serio sul pensiero e sui comportamenti conseguenti.
Non ci dobbiamo lasciare trascinare da demagoghi e populisti che ragionano più di pancia che di cervello verso una deriva dagli esiti non scontati magari per accaparrarsi qualche voto in più alle prossime elezioni.
C’è un luogo della Siria, Maalula, dove ancora si parla nell’antica lingua di Gesù, l’aramaico, e dove fino a pochi mesi fa, in uno dei più antichi monasteri “Santa Thecla” una comunità di cristiani ortodossi recitava “Aboon dabashmaya”, Padre nostro che sei nei cieli. Quel luogo a circa cinquanta chilometri a Nord di Damasco oggi è un cumulo di rovine e i suoi abitanti sono fuggiti andando ad ingrossare le fila di quelli che attraverso il deserto prima e il Mar Mediterraneo poi cercano di salvarsi sbarcando sulle nostre coste. Sono i Migranti un popolo oggi in movimento dai paesi dell’Africa e del Medio Oriente verso l’Italia per poi disperdersi nel resto di Europa e ieri dai nostri porti verso l’America. Sentire ancora oggi dibattere sulla liceità o meno di indossare il chador nelle nostre città e se erigere moschee o ridurre le migrazioni a un problema di ordine pubblico oppure declinare termini come “accoglienza” e “solidarietà” come se a queste parole si potesse attribuire un significato diverso da quello che esprimono, vuol dire sottovalutare la portata storica del fenomeno che stiamo vivendo. Il Terzo Mondo sta bussando alle porte dell’Europa e vi entra anche se l’Europa non è d’accordo. Così è stato per l’America, così sarà per l’Europa. Un’Europa multirazziale o se ci piace di più “colorata” (come ebbe a dire un nostro governante del presidente americano Obama). Chi oggi invoca “respingimenti” come se l’Europa fosse una fortezza circondata da alte mura o dice “pensiamo prima ai nostri cittadini” e poi agli altri come se gli uni e gli altri non fossero persone con una loro dignità e portatori ambedue di diritti e doveri – affermazioni ben più gravi se dette da un “cristiano” – dimentica o forse fa finta di non sapere che la narrazione dell’Europa trova la sua origine circa 40-50 mila anni fa dall’Africa via Medio Oriente.
Anche i miti fondativi della nostra cultura trovano la loro origine in una migrazione. Chi non ricorda il mito di Enea. La sua fuga da Troia, con il vecchio padre Anchise sulle spalle e con il figlioletto Ascanio per la mano, ha come meta voluta dal Fato l’Italia più precisamente il Lazio. E’ da lì infatti che noi “romani” traiamo la nostra origine. Ma quello che più è importante è che nella figura del “migrante” Enea troviamo un sentimento che dovrebbe accomunare tutti i viventi, quello della pietas, sentimento che accoglie in sé un misto di devozione, rispetto nei confronti degli dei e della famiglia ma anche verso tutti gli uomini. E il migrante o meglio il profugo Enea simboleggia il dramma degli esuli che, spinti da circostanze avverse verso terre sconosciute, vanno incontro a insidie ma anche promesse per la costruzione di un destino migliore.
Ma Enea era un greco-pagano? che cosa a che fare con noi cristiani? Per noi cristiani la pietà è un dono dello Spirito Santo e quando Gesù si rivolge agli apostoli apostrofandoli con “Non capite ancora e non comprendete? Avete il cuore indurito? Avete occhi e non vedete , avete orecchie e non udite?” (Mc 8,17-18) si rivolge a tutti noi, a quelli il cui cuore ha perso slancio ed è diventato duro e insensibile. Come possiamo dire “prima noi e poi gli immigrati” se la pietà, dono dello Spirito Santo, significa stare tra gli uomini innanzitutto vivendo con loro la loro compagnia, la loro solidarietà. Quante volte abbiamo ripetuto frasi come “Hai visto il tuo fratello, hai visto il tuo Signore” o anche “ama il prossimo tuo come te stesso” durante l’eucarestia o nei nostri incontri ecclesiali o nei nostri ritiri spirituali………Ed ecco allora che Papa Francesco ci richiama ad un comportamento cristiano, coerente con la Parola di Dio, e a non essere “cristiani che vivono da pagani con due pennellate di vernice di cristianesimo, cristiani nell’apparenza”. Se oggi vediamo nel nostro mondo occidentale una scarsa attenzione al divino lo dobbiamo certamente al nostro modo mediocre di vivere nel quotidiano la nostra fede: “E la tentazione di abituarsi alla mediocrità, la mediocrità dei cristiani, di questi cristiani, è proprio la loro rovina, perché il cuore si intiepidisce, diventano tiepidi. E ai tiepidi il Signore dice una parola forte: ‘Perché sei tiepido, sto per vomitarti dalla mia bocca’. E’ molto forte! Sono nemici della Croce di Cristo. Prendono il nome, ma non seguono le esigenze della vita cristiana”.
Ecco allora che di fronte all’arrivo di profughi nel nostro paese la nostra identità cristiana deve rendersi manifesta, contrastando chi vede nel profugo un nemico o al peggio un problema di ordine pubblico. Ed è proprio nell’atteggiamento che ciascuno di noi assume nei confronti del fratello che dobbiamo impegnarci attivamente per offrire un’accoglienza calda. Dobbiamo prendere, noi cristiani, l’iniziativa di andare incontro ai nuovi arrivati, di interessarci di loro, con spirito fraterno e solidale, evitando che il migrante diventi “merce” e qualche volta “merce di scarto” su cui “fare affari” perché come dice Buzzi in “Mafia Capitale” : “Tu c’hai idea quanto ce guadagno sugli immigrati? Il traffico di droga rende meno”. Dobbiamo superare la logica del “ghetto” (come i CARA o come alcuni centri di seconda accoglienza, soprattutto se gestiti da privati con l’idea del “profitto”) ma deve essere la comunità cristiana a farsene carico in modo esplicito. Si può andare a messa pure tutte le domeniche ma se nel cuore si disprezzano gli altri o li si considera inferiori o li si esclude dalla nostra amicizia, questi cristiani nell’apparenza diventano incapaci di annunciare il Vangelo. La Chiesa che vuole Papa Francesco, la chiesa missionaria, o nasce dall’amore o non è missione. E oggi ci viene domandato di “accogliere nostri fratelli in difficoltà” a cui dobbiamo rispondere alla luce del Vangelo.