PROGETTO ALBERONE SENIOR: SEI MATTACCHIONI IN CERCA DI UNA RISATA
“E’ una società stolta e miope quella che costringe gli anziani a lavorare troppo a lungo e obbliga una intera generazione di giovani a non lavorare quando dovrebbero farlo per loro e per tutti”
Queste parole di papa Francesco mi sono tornate in mente all’uscita dello spettacolo “Non tutti i ladri vengono per nuocere”, una farsa di Dario Fo, messa in scena dai “Senior” della Compagnia teatrale dell’Alberone di Palestrina. Sei anziani in scena (le pantere grigie) a cui facevano da colonna sonora un numeroso gruppo di giovani cantori (le pantere rosa) diretti dal maestro Vinicio Lulli, direttore del Coro San Francesco Saverio di Carchitti, che nel pomeriggio in una perfetta fusione di voci, anziani e giovani, ci aveva piacevolmente intrattenuti in un concerto presso il Convento San Francesco di Palestrina.
Il lavoro che un anziano dovrebbe svolgere è quello di essere guida e testimone di civismo, e per chi crede anche di fede, verso le giovani generazioni, magari anche, come hanno fatto i nostri bravi e simpatici anziani, mettendosi in gioco, sebbene nella vita ricoprano altri ruoli, come ha ben comunicato “l’assessore” Carlo Giacometti al termine dello spettacolo: siamo genitori e nonni, prima di tutto, e fare teatro insieme ai figli e nipoti è un modo di “dialogare” condividendo valori e speranze per il futuro.
La farsa di Dario Fo, un giullare premio Nobel per la Letteratura, scritta nel 1958, in un’Italia molto diversa da quella in cui viviamo oggi, ci racconta attraverso situazioni comiche l’avventura di un ladro di appartamenti che mentre si accinge a svaligiare la casa gli accade di tutto: squilla il telefono, ed è sua moglie “Mi ami? Quanto mi ami? Ma perché non mi porti mai a lavorare con te… neanche rapinassi a mano armata!”, il proprietario dell’abitazione (un amministratore pubblico……e qualche decennio dopo ne vedremo delle belle) e la sua amante rientrano e di lì a poco torna a casa anche la moglie del proprietario insieme al suo amante che è a sua volta il marito dell’amante del proprietario.
S’innesca così un perverso intreccio di sotterfugi e bugie che si ritorcono contro il personaggio meno colpevole e più innocente (ama sua moglie e se ruba, lo fa per necessità): appunto il ladro.
Come in tutte le opere di Dario Fo la presenza della critica sociale alla società dell’epoca la fa da padrone, ma sempre seguendo il filo dell’ironia e del sorriso, critica che si è accentuata prendendo le forme della critica politica a partire dal maggio sessantotto (un titolo per tutti: “Morte accidentale di un anarchico”). Scrivevamo che la farsa che abbiamo visto rappresentava un’Italia molto diversa dall’oggi. Ma poi mica tanto. Infatti due anni dopo nel 1960 Fo fu cacciato da “Canzonissima”, popolare trasmissione Rai, quando la Rai era in bianco e nero e con un solo canale, oggi diremmo “pensiero unico”, a causa dello sketch su un costruttore edile che si rifiutava di dotare di misure di sicurezza la propria azienda. La satira era sì espressa con battute semplici e ironiche ma aveva una forza dirompente perché in quel’occasione faceva emergere con evidenza la drammaticità della condizione lavorativa. E da allora non è che la situazione delle morti bianche sia cambiata.
Anche la farsa “Non tutti i ladri…” è un’acre critica a quel perbenismo borghese che deve “mettere la polvere sotto il tappeto”, dove i quattro coniugi-amanti, sbugiardati dall’evidenza e costretti a fare buon viso a cattivo gioco, rappresentano una borghesia ricca e amorale (il tradimento) che vive sulle spalle di un poveraccio, il ladro, costretto a lavori illegali. Era l’Italia degli anni cinquanta un po’ bigotta e conservatrice (il divorzio sarebbe passato nel 1970 e il delitto d’onore abrogato nel 1981), da poco uscita dalla guerra e in cui si stavano preparando gli anni sessanta, gli anni del boom economico e sociale.
Le opere teatrali di Dario Fo sollecitano sempre un giudizio sui personaggi e il loro comportamento (allora si chiamava teatro civile o politico). In questa farsa vediamo rappresentate le classi sociali dell’epoca una borghesia ricca e ipocrita e un sottoproletario ladro per necessità (che ci ricorda “Ladri di Biciclette” un film di De Sica del 1948: anche lì Antonio, disoccupato, ruba per necessità).
E allora un grazie va agli “adulti-giovani” della Compagnia Teatrale Alberone Senior (Gianna Germini, Donatella Polia, Marisa Curti, Dario dell’Orco, Carlo Giacometti, Luigi Pinci) perché, divertendo, hanno portato in scena uno spaccato del nostro paese, su cui riflettere. E questo dovrebbe essere il ruolo di noi Senior, altro che rottamati, nei confronti dei giovani, che sono pur sempre nostri figli e nipoti.
Roberto Papa