SENZA MEMORIA NON SIAMO NULLA
Come ogni anno il 27 gennaio si celebra, sulla base della Legge n. 211 del 20/7/2000, il “giorno della Memoria in ricordo dello stermino e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti”.
Ogni anno le Amministrazioni pubbliche ricordano o dovrebbero ricordare, con discorsi e manifestazioni, gli eventi che, sebbene accaduti oltre 70 anni fa, ancora oggi pesano nel ricordo del nostro popolo per le sofferenze e lutti che loro arrecarono. Dalla lotta partigiana che vide tutte le componenti politiche allora presenti, (cattolici, comunisti, socialisti, azionisti, liberali) schierarsi a difesa della libertà, nacque la nostra Repubblica la cui Costituzione ha recepito, nella sua parte fondamentale, i principi per i quali migliaia di uomini, donne e giovani hanno dato la vita. A seguire, il 10 febbraio, ricorderemo anche le vittime delle Foibe.
Come è accaduto per il 25 Aprile, anno dopo anno le manifestazioni si sono svolte con rituali sempre più stanchi e ripetitivi, fino a cancellare il profondo significato “patriottico” che quella data rivestiva. Questo è il rischio che il ricordo e la memoria corrono se i fatti accaduti in quegli anni ormai lontani non sono vissuti oggi dentro la storia che stiamo vivendo, dandogli invece una fissità storica e irripetibile.
E allora, ricordando una celebre frase di Platone “sapere è ricordare”, possiamo affermare che se non ricordiamo non sappiamo niente, peggio, non siamo niente, perché la memoria fa da garante alla nostra identità.
Ricordare il nostro passato serve per darci quell’identità di popolo che ci permette di stare nella storia e di confrontarci oggi con altri popoli che si affacciano ai nostri confini, ricordando che senza memoria storica, una comunità rischia di perdere e smarrire il significato e il senso profondo della propria identità culturale, civile e religiosa.
Ma la memoria non può essere asettica, la memoria ha il dovere di ricordare che, durante il regime fascista, furono approvate proprio in Italia nel 1938 le leggi razziali che, attraverso il censimento dei cittadini non ariani, permisero il rastrellamento del 16 ottobre del 1943 nel ghetto di Roma. E di ricordare anche che, insieme ad italiani che con generosità e a costo della loro vita assicurarono protezione agli ebrei, vi furono episodi di delazione da parte di altrettanti cittadini italiani per effetto dei quali ebrei e non solo finirono “attraverso un camino e adesso sono nel vento”.
E così accanto alla generosità di molti cattolici e laici che ospitarono ebrei, sottraendoli alla furia omicida dei nazifascisti, vi furono anche coloro che agirono in spregio al senso di umanità e di carità cristiana.
“E che per quanto voi vi crediate assolti
siete per sempre coinvolti”
Ricordare quei momenti che hanno visto, ed è inutile nascondercelo, responsabili e complici molti cittadini nella promulgazione prima delle leggi sulla razza da parte del fascismo e poi della loro scientifica applicazione da parte dei nazisti, impone il dovere di coltivare la memoria e di non dimenticare quanto sosteneva Primo Levi “ricordate che quello che è stato, in futuro, con il sonno della ragione e la mancanza di memoria, potrebbe ripetersi e verificarsi nuovamente”.
Ora che il tempo ha consegnato alla storia quei tragici avvenimenti di settant’anni fa avvenimenti che nella loro disumana tragicità rappresentano per molti una unicità, ad una lettura contemporanea quegli episodi devono assumere carattere di esemplarità:
nei lager nazisti son morti tra gli undici e i tredici milioni di persone. Di questi 6 milioni sono ebrei. Ma insieme agli ebrei furono massacrati 500 mila rom e sinti, 3 milioni gli slavi e poi omosessuali, antifascisti, testimoni di Geova e handicappati.
Gli eventi di cui oggi facciamo memoria, pur avendo caratteristiche proprie e peculiari, deve oggi, perché questa data non finisca per diventare un rituale privo di reale significato, essere occasione per ricordare le vittime di tutti i massacri, i genocidi, le pulizie etniche e in questi ultimi tempi sempre più spesso religiosi.
La giornata della memoria così come la giornata del ricordo, che verrà celebrata il 10 febbraio, deve servire a rafforzare in tutti i cittadini ma soprattutto nelle giovani generazioni non solo la memoria ormai storica del dramma della Shoah e delle foibe, ma anche la consapevolezza delle cause storiche che quegli eventi produssero. Quegli eventi devono creare in ciascuno di noi la consapevolezza che solo una vigilanza continua, ispirata ai principi della giustizia e della libertà può impedire che tragedie passate abbiano a ripetersi, magari con nomi diversi ma pur sempre figlie di una stessa ideologia. Farne memoria deve servire a noi per poter vivere un presente e progettare un futuro migliore e più giusto. E’ solo in questa prospettiva che le giornate della memoria e del ricordo vanno vissute, altrimenti finirebbero per assumere una funzione retorica destinata a sclerotizzarsi fino a diventare un rito per mettere a posto la nostra coscienza.
Goya nel dipingere “il sonno della ragione genera mostri” parla ancora a noi contemporanei per ricordarci che se le guerre , le tirannie, i genocidi del passato sono finiti, il ventre che quelle tragedie ha partorito è sempre gravido di altri mostri quando la ragione si addormenta.
Fare memoria della Shoah deve quindi significare non solo ricordare eventi ormai lontani ma questo ricordo deve essere accompagnato con l’individuazione e il profilo storico di altri massacri e di altri genocidi che accadono oggi sotto i nostri occhi e che una attenta analisi ci potrebbe far scoprire anche corresponsabili, se non altro per il nostro silenzio e per la nostra colpevole disinformazione.
Nel ricordo e nella memoria del passato noi oggi dobbiamo dare voce ai “nuovi ebrei” a tutti quegli uomini e quelle donne sottoposti a violenze di stupro, di sgozzamento, dilaniati da bombe intelligenti o da uomini e donne loro stessi fattisi ordigno, esseri umani che fuggono dai loro paesi e che affrontano viaggi di morte per un sogno di libertà, ma anche tutti quelli che vivono ai margini delle nostre città e della nostra economia e che vengono trattati da Untermenschen, sottouomini, nonostante noi si reciti giornalmente il mantra del rifiuto del razzismo. Quante volte abbiamo sentito dire “io non sono razzista, però….”
Oggi, nella giornata della memoria, sentiremo parlare di campi di concentramento, di muri, di ferro spinato e allora la nostra mente deve rivolgere l’attenzione ad altri campi di concentramento, quali possono diventare i centri di accoglienza migranti, altri muri e ferro spinato come quelli che si stanno costruendo in molti parti d’Europa. Un risorgente nazionalismo unito a fenomeni xenofobi sta innalzando muri non solo materiali ma soprattutto mentali, e non ci sono migliori parole se non quelle del poeta greco Kavafis che nella sua poesia I Muri descrive proprio questo stato d’animo.
Senza riguardo, senza pietà senza pudore
mi hanno fabbricato intorno solide mura.
Adesso sono qua che mi dispero.
Non penso ad altro: una sorte tormentosa;
con tante cose da sbrigare fuori!
Mi alzavano muri e non vi feci caso.
Mai un rumore una voce, però, di muratori.
Murato fuori dal mondo e non vi feci caso.
Ciò che fa di un popolo la sua forza e’ coltivare la memoria che si tramanda da padre in figlio. Noi italiani ci sentivamo un paese solidale e unito perché sapevamo raccontare la nostra storia, raccolti intorno alle nostre tradizioni. Nell’Italia contadina e operaia il tempo scorreva lungo i tempi liturgici del Natale, Quaresima, Pasqua, Assunzione, momenti di vita in cui raccolti intorno alla Famiglia, quella storia famigliare che un uomo come Ettore Scola, profondamente legato allo spirito del suo popolo, ha saputo raccontare e che oggi vogliamo ricordare con emozione, si svolgeva il racconto delle nostre vite quotidiane fatte di morti in battaglie partigiane in cui la vita e la morte si potevano presentare nel volto di un amico, di un vicino di casa, fatte di battaglie per i diritti e la dignità di tutti, di amori conquistati o perduti.
È’ la memoria che da sapore alla vita, e’ la memoria che crea identità e da senso all’incontro con l’altro.
SENZA NON SIAMO NULLA.
“Un paio di scarpette rosse” di Joyce Lussu
C’è un paio di scarpette rosse
numero ventiquattro
quasi nuove:
sulla suola interna si vede ancora la marca di fabbrica
‘Schulze Monaco’.
C’è un paio di scarpette rosse
in cima a un mucchio di scarpette infantili
a Buckenwald
erano di un bambino di tre anni e mezzo
chi sa di che colore erano gli occhi
bruciati nei forni
ma il suo pianto lo possiamo immaginare
si sa come piangono i bambini
anche i suoi piedini li possiamo immaginare
scarpa numero ventiquattro
per l’ eternità
perché i piedini dei bambini morti non crescono.
C’è un paio di scarpette rosse
a Buckenwald
quasi nuove
perché i piedini dei bambini morti
non consumano le suole.
ROBERTO PAPA