Silvia Mederi, Dipingere con la luce
Ciao Silvia, parlaci un pò della tua attività di fotografo. Quando è nata questa passione? insomma parlaci di te.
Carnevale di Viareggio primi anni 80, mi venne regalata da mia nonna, una Kodak EKTRA 22 con pellicola precaricata da 16 mm, lì ebbe inizio la mia storia d’amore per la fotografia, travagliata come ogni storia d’amore con i suoi alti e bassi sentendomi tradita quando venne trasformata da magia di una camera oscura a un freddo meccanismo digitale, riuscendo nel tempo ad innamorarmi ancora.
L’amore per le arti visive, segue il percorso prima al Liceo artistico di Roma poi allo IED dove i compagni di viaggio, professionisti dell’immagine, come Saverio Lombardi Vallauri con la sua idea bidimensionale del Metroquadro, Giancarlo Possemato immagini fuggenti, Antonio Barrella nel suo fashion style mi hanno insegnato a dipingere con la luce.
Il genere che prediligi e perchè?
La fotografia subacquea ha il suo posticino d’onore anche se non ho un genere definito.
Amo scattare, ho imparato ad essere spettatore, nascosto dietro l’obiettivo, con la discrezione di chi non vuole sentirsi protagonista dell’evento ma un ladro del momento… quei momenti che tengo per me che rubo all’insaputo protagonista, motivo, questo, per non sentirmi un professionista ma un semplice amatore dell’immagine
La fotografia come cura dell’anima?
Nel 2008 mi imbatto in un testo “L’uomo e i suoi simboli” di Carl Gustav Jung psichiatra, psicoanalista e antropologo svizzero dove centro della sua attenzione è l’archetipo cioè l’immagine e l’immaginazione dello psichiatra nel portare il paziente alla guarigione… be che dire non so se puo essere una cura ma per me scattare foto è rendere reale una sensazione, uno stato d’animo una percezione dello spazio, è come riconoscere in un immagine simbolica se stessi.
La fotografia può aiutare a rilanciare il territorio comunicando una percezione nuova di quest’ultimo?
Viviamo in un mondo fatto di immagini e colori dove si va sempre più veloci e un immagine che cattura può catturare più di mille parole, quindi credo che l’immagine possa aiutare a rivalutare, far conoscere ed amare il tempo fermo in un istante di una foto, quel tempo che avvolte ritroviamo nelle soffitte polverose, nei cassetti di vecchie foto dove ritroviamo le fondamenta di quello che siamo.
Come questa foto di Palestrina, forse banale per chi la vede, ma è quella che amo di piu tra le tante. Chiudo e apro gli occhi, come uno scatto, come il click dell’otturatore mi rimanda da 40 anni questa immagine che ha per cornice la finestra della mia camera, è la foto che prediligo del mio territorio della mia città edificata sulla storia che si respira in ogni angolo.