Stefano Pinci, Artigiano dell’immagine.
Quando è nata questa passione? Insomma parlaci di te.
La fotografia è una passione che ho scoperto abbastanza tardi in realtà, intorno ai vent’anni, durante una vacanza con gli amici ripresi in mano la vecchia Pentax k1000 di mio padre e da quel momento in poi è stato un crescendo.
Oltretutto ancora si scattava in pellicola quindi ogni singolo rullo era un piccolo investimento e se non eri veramente preso era un passatempo che abbandonavi in un batter d’occhio.
Per me la passione per la fotografia è cresciuta nel giro di poco tempo fino a darmi lo stimolo di abbandonare la facoltà di ingegneria per potermici dedicare completamente.
In seguito ho fatto un corso allo IED di Roma e poi mi sono trasferito a Milano dove ho iniziato a lavorare come assistente freelance presso gli studi della Condé Nast e per vari fotografi. Tra tutti Alessio Pizzicannella, fotografo di fama internazionale, con cui ho continuato a collaborare fino a un paio di anni fa. Oggi ho uno studio mio e lavoro esclusivamente come fotografo.
Il genere che prediligi e perché?
Negli anni mi è capitato di dovermi confrontare con quasi tutti i campi della fotografia, in passato ho amato la fotografia di scena e lo still life, benché siano due cose completamente opposte tra di loro!
Oggi, anche per esigenze lavorative, mi dedico principalmente alla fotografia d’architettura e d’interni, e devo dire che mi sembra d’aver trovato il mio habitat naturale.
Nonostante le sessioni di scatto spesso e volentieri siano lunghe e con ritmi e tempi molto serrati, cimentarmi in questo genere di foto mi ha riacceso il piacere e il senso di relax mentale che provavo quando scattare fotografie era solo una passione e non una professione.
Oltretutto è un ambito che mi da la possibilità di viaggiare molto sia in Italia che all’estero, ho avuto la fortuna di fotografare le più grandi capitali del mondo da Dubai a New York, da Parigi a Cape Town.
Dove pensi arriverà la fotografia?
Non ne ho idea, è certo che la fotografia come era concepita una volta non esista più o quasi.
La parte di postproduzione, cioè la fase di ritocco al computer, ha ormai un ruolo talmente preponderante nel processo di creazione fotografica che ha inevitabilmente stravolto la natura e l’approccio stesso alla fotografia.
E’ vero che non dobbiamo dimenticar che anche alle spalle dei grandi fotografi del secolo scorso c’erano grandi stampatori e molte migliorie venivano fatte in camera oscura, così è stato anche per molte foto che hanno fatto la storia. Ovviamente il livello a cui si poteva intervenire sulle fotografie non è minimamente paragonabile a quello che si può raggiungere oggi senza essere neanche troppo esperti e il momento dello scatto era comunque l’aspetto preponderante del processo creativo. Ora spesso non è così.
La fotografia può aiutare a rilanciare il territorio comunicando una percezione nuova di quest’ultimo?
Indubbiamente può essere fondamentale come elemento di una strategia di più ampio respiro, non credo come opera fine a se stessa. Viviamo in un momento storico in cui c’è un’alluvione di informazioni in tempo reale mai vista prima. Basti guardare i portali dei principali siti d’informazioni, dove si fa prima a pubblicare (e si dedica più spazio) a foto brutte e di infima qualità, magari fatte con un cellulare, che però viaggiano in tempo reale grazie ai social network, piuttosto che a opere di bravi reporter. Non credo che, per quanto creativo, un progetto fotografico da solo possa valorizzare in qualche maniera il territorio se non nel piccolo arco di tempo in cui ha i riflettori puntati addosso.
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